di Ileana Bonadies

Foto Sabrina Cirillo

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fonte: http://www.quartaparetepress.it/2018/07/27/ciro-riccardi-la-mia-tromba-dalla-voce-umana-intervista/

Leggi Ciro Riccardi e pensi agli Slivovitz, alla formazione swing Uanema Orchestra, a collaborazioni importanti con nomi del panorama musicale e teatrale napoletano ma non solo, a gruppi come la Banda Basaglia che unisce dilettanti e professionisti mossi dalla sola voglia di suonare insieme, ma su tutto a un solo strumento: la tromba. È infatti lei la fedele compagna del musicista e compositore diplomatosi al Conservatorio di San Pietro a Majella in musica jazz e oggi autore, direttore e anima di numerosi progetti artistici accomunati tutti dal carattere delle trasversalità, della contaminazione; da quella vivace curiosità che fa intraprendere percorsi molteplici, in collaborazione con sempre nuovi artisti, ma tutti poi che confluiscono in un unico grande viaggio: quello nella musica nella sua accezione più universale e libera. E allora, proprio per conoscere meglio questo infinito patrimonio di cui Riccardi è custode, noi di QuartaParete abbiamo scelto di intervistarlo affinché possano essere le sue stesse parole a raccontare di sé e del suo lavoro.
Partiamo dall’inizio, come nasce la passione per la tromba?
Sin da bambino ho studiato musica, ma al principio suonavo il basso elettrico e la chitarra, ed anche con grande piacere. Quando però ho deciso di intraprendere un percorso accademico, mi sono reso conto che avrei dovuto comunque ricominciare da zero, perché l’insegnamento del basso elettrico non era tra i corsi del conservatorio. Erano gli anni in cui scoprivo la passione per il jazz, in particolare per Miles Davis e Chet Baker: l’idea di poter imparare i loro pezzi vinse su qualsiasi ragione, e dopo poco mi ritrovai a suonare solo la tromba, abbandonando il basso. Quando poi ho scoperto la potenza espressiva di questo bellissimo strumento, la possibilità di riprodurre un suono così simile alla voce umana, non ho avuto più dubbi.

Foto Sabrina Cirillo

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Ripercorrendo le principali tappe della sua carriera emerge chiara l’attitudine a fare squadra: quale il valore aggiunto che questa condizione regala?
Per come vivo la musica, avere tante persone con cui condividere quello che faccio è vitale: suonare è il mio modo di comunicare prediletto, e farlo in gruppo amplifica e rafforza quello che voglio dire. Inoltre il confronto con altri musicisti mi aiuta a capire come migliorare il mio modo di suonare, e a crescere come musicista; è un dialogo continuo, in cui a trarre vantaggio è la musica stessa. Non nascondo che a volte ho accarezzato l’idea di un progetto “in solo”, e non escludo che un giorno proverò a farlo, ma per ora mi riconosco, anche nei miei ascolti, nella musica molto suonata, con ampi organici.
Molteplici i linguaggi che con la sua musica attraversa – dalla musica popolare bandistica, allo swing, fino al jazz rock – ma in quale si riconosce di più e, da compositore e arrangiatore, le offre maggiori stimoli?
È una domanda a cui è difficile dare una risposta univoca, potrei cambiare idea in poco tempo. Diciamo che mi riesco ad esprimere al meglio quando ho a disposizione altri strumenti a fiato, forse perché ho cominciato a fare pratica di insieme con la banda del mio quartiere, e quella è la dimensione a me più familiare. Certo in tutti i generi che hai citato riconosco una matrice comune: il jazz, quello più popolare, quello di New Orleans per intenderci, viene proprio dalla banda. Ancora oggi in giro per la capitale della Louisiana si trova un numero enorme di musicisti “di banda”, e la pratica dell’improvvisazione è all’ordine del giorno in quel ricchissimo mondo musicale.

Foto Sabrina Cirillo

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Nel 2016 è uscito il suo primo lavoro da solista, “Racconti in vinile”: a due anni di distanza come guarda a quel progetto e alle opportunità che le ha dato? Sarà una esperienza che avrà un seguito? 
Per me “Racconti di Vinile” è un piccolo miracolo: ancora oggi quando mi capita di riascoltarlo mi emoziono, e mi sembra incredibile che sia una mia creatura! Ci sono musicisti straordinari in quel disco, alcuni dei miei preferiti in assoluto, ed a loro sarò sempre grato. Forse avrei potuto promuoverlo di più, ma sicuramente per il prossimo disco, a cui sto lavorando, non commetterò gli stessi errori. In ogni caso, è stato il mio primo lavoro da solista, e mi ha dato l’opportunità di misurarmi con me stesso, di mettermi in gioco al 100 per cento e per la prima volta di prendermi la responsabilità della scelta, senza mediazioni. 
Vivere oggi di una passione, come per lei la musica, è possibile a patto che…?
A patto che sia sempre un divertimento. Non sopporterei di svilire una cosa così importante per me facendola per obbligo o per dovere. Ma credo che questo non succederà mai.